Per la Cassazione non sempre “condivisione” fa rima con “riconciliazione”

Il Tribunale di Trani aveva dichiarato con sentenza non definitiva lo scioglimento del matrimonio di Tizio e Caia, ritenendo “non provata l’eccepita interruzione” del termine triennale previsto dalla legge “per effetto della riconciliazione intervenuta dopo l’omologazione della separazione consensuale”.

Caia aveva impugnato la sentenza perché “il giudice di primo grado non ha consentito, omettendo la fissazione del termine previsto dalla norma [art. 190 c.p.c.], di richiedere la revoca dell’ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie dirette a provare la intervenuta riconciliazione”.

La Corte d’appello di Bari aveva respinto il reclamo, ritenendo fondata la motivazione di rigetto delle istanze istruttorie, perché “generiche e irrilevanti al fine di provare il ripristino della comunione di vita e di intenti integrativa della riconciliazione e non una mera ripresa occasionale della coabitazione”.

Caia aveva, quindi, proposto ricorso per cassazione, deducendo in particolare la “violazione degli artt. 24 e 111 c. 2 Cost., degli artt. 101 e 190 c.p.c., dell’art. 4 c. 12 della legge div. (n. 898/1970) e del principio del contraddittorio”.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20323/2019, ha ritenuto il ricorso “infondato”.

Nel farlo, ha rilevato, tra l’altro, che

“in forza dell’art. 157 c.c., gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può … ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale (Cass. civ. sez. II, ord. 1630 del 23 gennaio 2018)”.

Ed ha aggiunto che, proprio “a fronte di questa giurisprudenza rigorosa”, sussiste “l’onere per la parte che ha interesse a far accertare l’avvenuta riconciliazione di fornirne una prova piena e incontrovertibile”, spettando poi “al giudice del merito valutare se le prove addotte siano idonee a raggiungere tale scopo”.

Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, il Giudice di legittimità ha concluso che “la rilevanza delle prove dedotte dalla … ricorrente è stata vagliata alla luce della predetta giurisprudenza che richiede una prova certa e non controvertibile della riconciliazione ed è stata esclusa in entrambi i gradi del giudizio di merito”.

In particolare, ha ritenuto che la Corte d’appello di Bari avesse fornito una “motivazione adeguata ed esaustiva” dell’anzidetta “valutazione”, ciò che ne escludeva un suo sindacato di legittimità.  

 

 

 

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