Divorzio: la coabitazione dopo la separazione non significa riconciliazione

29 APRILE 2023 | Separazione e divorzio

di avv. Anna Sartor

La prosecuzione o la ripresa della coabitazione dopo la separazione non costituisce in sé riconciliazione se non è stato ricostituito il complesso dei rapporti alla base del vincolo matrimoniale, sia quelli riguardanti l’aspetto materiale dell’unione sia quelli relativi alla comunione spirituale tra i coniugi.

La Cassazione Civile, con l’ordinanza del 13 aprile 2023 n. 9839, nel precisare la distinzione concettuale fra “coabitazione” e “riconciliazione”, chiarisce, in punto di diritto, che l’istituto della riconciliazione consiste nel “comportamento inequivoco, che esprime senza possibilità di dubbio la ricostituzione di un progetto di vita comune, connotato da tutti i doveri che discendono dal matrimonio”, e come tale idoneo a porre nel nulla gli effetti della separazione.

Il Tribunale di Modena nel decidere la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato dalla ricorrente con l’ex marito, disponeva a carico di quest’ultimo un assegno divorzile di euro 500,00 mensili, respingendo l’eccezione di riconciliazione sollevata dalla ricorrente che proponeva appello, ribadendo che la coabitazione fra le parti dopo la separazione escludeva la configurabilità dei presupposti per la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio, contestando anche l’importo dell’assegno.

La Corte d’appello di Bologna accoglieva parzialmente il ricorso sul quantum dell’assegno divorzile che determinava in euro 800,00 mensili, e respingeva invece l’appello sull’intervenuta riconciliazione, osservando che la mera ripresa o il protrarsi della coabitazione dopo la separazione non costituisce in sé riconciliazione se non è stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti, materiali e spirituali, che caratterizzano il vincolo matrimoniale.

L’ex moglie proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con due motivi, esponendo che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere sussistenti i presupposti per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, poiché dopo la separazione i coniugi avevano continuato a vivere nella stessa abitazione, condividendo la loro quotidianità nello stesso immobile, con ciò ponendo nel nulla gli effetti della separazione, che per la legge italiana richiede una situazione di intollerabilità della convivenza, incompatibile con una coabitazione ininterrotta. E lamentando il quantum dell’assegno divorzile.

La Corte di Cassazione rigettando il primo motivo, in particolare, evidenzia che tra le parti era stata ritualmente dichiarata la separazione giudiziale: “e pertanto spiegava pienamente tra le parti i suoi effetti, che possono venir meno, secondo quanto dispone l’art.157 c.c., solo in virtù di una espressa dichiarazione dei coniugi (qui pacificamente non intervenuta) o di un comportamento incompatibile con lo stato di separazione, vale a dire per effetto di una piena riconciliazione tra essi coniugi, con la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ripresa di relazioni reciproche oggettivamente rilevanti, che si siano concretizzate in un comportamento inequivoco (Cass.. 11636/2020)”.

Muovendo da questa premessa la Corte osserva che: “il ripristino della coabitazione può essere uno degli indici attraverso i quali valutare l’intervenuta riconciliazione, ma solo in quanto essa sia espressione di una effettiva ripresa della convivenza coniugale, che non è data dal mero fatto di dividere l’abitazione, ma dalla esistenza di un progetto di vita comune, attuato nella quotidianità e improntato alla solidarietà, alla reciproca collaborazione e alla assistenza morale e materiale “. Pertanto, per la giurisprudenza di questa Corte “la mera coabitazione non è sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati, essendo necessario il ripristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale. Il coniuge che ha interesse a far accertare l’avvenuta riconciliazione, dopo la separazione, ha l’onere di fornire una prova piena e incontrovertibile della ricostituzione del consorzio familiare”.

Nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva correttamente accertato che tra i coniugi non sussisteva alcuna vita comune, anche se abitavano nella stessa casa, vivendo separatamente come estranei, senza alcuna collaborazione o rapporti d’affetto. La Corte aveva quindi escluso che fosse intervenuta tra i coniugi alcuna riconciliazione, mettendo invece in evidenza le specifiche ragioni di tolleranza da parte del marito al mancato rilascio della casa familiare da parte della moglie, situazione frequentemente giustificata per motivi economici.

In conclusione, gli effetti della separazione non possono essere annullati dalla mera circostanza che uno dei coniugi non abbia rilasciato la casa familiare, di proprietà dell’altro, il quale a sua volta abbia tollerato tale situazione.

La Corte ha, invece, ritenuto inammissibile il secondo motivo proposto dalla ricorrente, in merito alla quantificazione dell’assegno divorzile, determinato dai giudici del merito secondo una corretta valutazione delle rispettive condizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi.

 

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