Il TSO e il consenso informato alle cure.

di dott.ssa Fiorella Guidolin

Con l’ordinanza n. 509/2023, depositata in data 11 gennaio 2023, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento danni formulata dal ricorrente contro l’Azienda Sanitaria Universitaria e il Ministero dell’Interno, per essere stato sottoposto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.

Il ricorrente, affetto da un disturbo delirante cronico in fase di scompenso, dopo aver ripetutamente rifiutato gli interventi terapeutici proposti veniva trattenuto ai fini dell’attivazione di un TSO presso i locali del Centro di Salute Mentale ove si era recato in ragione della sua condizione psichica.

Il provvedimento di trattenimento era stato proposto dal medico, convalidato da un collega, ordinato dal Sindaco in qualità di Ufficiale di Governo e successivamente convalidato dal Giudice Tutelare.

Il ricorso, che quanto già sul piano delle deduzioni risulta ai limiti dell’ammissibilità in relazione all’esposizione del fatto, ha fornito alla Suprema Corte l’occasione di enunciare un importante principio di diritto in tema di Trattamento Sanitario Obbligatorio, principio alla cui affermazione il collegio giunge dopo aver richiamato quanto statuito dalla Cassazione in tema di consenso informato alla prestazione terapeutica (cfr. l.n. 219/2017).

Com’è noto, il Trattamento Sanitario Obbligatorio consiste nell’insieme di procedure sanitarie cui viene sottoposta una persona in caso di necessità clinica ai fini di tutelarne la salute, pur contro la sua volontà.

La regolamentazione del TSO è contenuta negli articoli da 33 a 35 della l.n. 833/1978, istitutiva dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale, e va in ogni caso sempre disposto - in conformità all’art. 32 della Costituzione - nel pieno rispetto della persona.

L’obbligatorietà che caratterizza il trattamento rappresenta una deroga al principio del consenso informato, presupposto necessario ed indefettibile di qualsiasi prestazione di cura, e si giustifica, in caso di urgenza clinica, per la necessità di tutelare la salute e la sicurezza del paziente, oltre che della collettività nel suo complesso.

Nella sentenza in commento, il collegio osserva come l’ospedalizzazione in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio per un disturbo mentale costituisca “un evento intriso di problematicità”, e ciò in quanto il paziente che si trova in tale condizione versa presumibilmente in uno stato di incapacità a prestare un valido consenso.

Normativamente parlando, un paziente viene considerato capace o incapace; tuttavia, la realtà clinica soprattutto in caso di problematiche legate alla salute mentale testimonia da tempo come possano sussistere delle zone intermedie, ossia dei residui spazi di autonomia decisionale anche in pazienti sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio. In sostanza la capacità che consente una consapevole decisione terapeutica non coincide necessariamente con la capacità giuridica di agire.

Per questo un approccio di tipo multidimensionale, basato sulla valutazione nel singolo paziente della capacità a prestare il consenso informato, costituisce un possibile terreno sul quale ricostruire, all’interno della relazione medico-paziente, proprio il percorso di recupero della capacità di prestare il consenso alle cure.

Allo stesso tempo, tuttavia, il collegio sottolinea come esistano delle condizioni al ricorrere delle quali si può prescindere dal consenso del paziente, e tra queste si annoverano proprio quelle previste agli artt. 34 e 35 della legge sui Trattamenti Sanitari Obbligatori (la L. n. 833/78).

Il TSO nell’ambito di una malattia mentale prevede che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo al ricorrere contemporaneo di tutte e tre le seguenti condizioni:

  • l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  • la mancata accettazione da parte del paziente degli interventi di cui sopra;
  • l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

Per la Corte “Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario”.

Il TSO non dev’essere considerato una misura di difesa sociale, ma un mezzo di tutela della salute mentale del paziente e come tale deve essere attivato solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa possibile, il consenso del paziente ad un intervento volontario.

Questo evento straordinario richiede una specifica procedura, che deve essere attivata da un medico.

Il sanitario deve verificare e certificare l’esistenza, anzitutto, dell’avvenuta convalida della proposta da parte di un altro medico, dipendente pubblico (generalmente uno specialista in psichiatria), dell’emanazione da parte del Sindaco dell’ordinanza esecutiva (entro 48 ore) e infine della notifica al Giudice Tutelare (di nuovo, entro 48 ore), che provvede a convalidare o meno il provvedimento, comunicandolo al Sindaco.

Proseguendo nell’enunciazione del principio di diritto, la Corte specifica che si può intervenire con un Trattamento Sanitario Obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti le tre condizioni anzidette (alterazioni psichiche che richiedono urgenti interventi terapeutici; mancata accettazione degli interventi terapeutici proposti; impossibilità di adottare tempestive/idonee misure sanitarie extra-ospedaliere).

Il provvedimento rimane in vigore per 7 giorni, ed è suscettibile di proroga solo se persistono le tre condizioni legittimanti; al venir meno di una sola di esse, il provvedimento è destinato a cessare.

Le precisazioni della Corte si sono rese necessarie per rigettare la richiesta di risarcimento dei danni sollevata dal ricorrente, sottoposto a TSO dopo il ripetuto rifiuto dei vari interventi terapeutici proposti, nella comprovata sussistenza dei tre presupposti di legge, che rendono legittima l’adozione del Trattamento Sanitario Obbligatorio.

La Corte enuncia, quindi, il principio di diritto ripercorrendo non solo condizioni e presupposti procedurali dell’istituto, ma dopo aver richiamato gli arresti ormai consolidati della stessa Cassazione in tema di consenso informato (cfr. sentenza n. 7248/2018) e specificamente:

  1. La manifestazione del consenso alla prestazione sanitaria da parte del paziente costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in relazione al trattamento medico proposto; tale diritto all’autodeterminazione è autonomo e distinto rispetto al diritto alla salute (e trova fondamento diretto all’interno della Costituzione negli articoli 2,13 e 32 co. 2);
  2. L’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente è anch’esso autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico, poiché da una parte viene violato il diritto alla libertà di autodeterminazione, dall’altra quello alla salute. Tuttavia, non si può nemmeno affermare un’assoluta autonomia dei due illeciti, tale da escludere ogni interferenza nella produzione del medesimo danno, e ciò a causa dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente. È infatti possibile che anche l’inadempimento dell’obbligazione di fornire una corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori concorrenti nella determinazione di un pregiudizio alla salute. L’omissione del medico ha quindi un’astratta capacità plurioffensiva, idonea a ledere sia il diritto alla libera autodeterminazione che quello alla salute. Entrambi questi diritti sono suscettibili di risarcimento, qualora venga fornita la prova che dalla lesione di ciascuno siano derivate conseguenze dannose.
  3. Se, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, viene allegato e provato unicamente un danno biologico, per individuare la causa immediata e diretta di tale danno occorrerà accertare quale sarebbe stata la scelta del paziente se fosse stato correttamente informato. E qui si pongono due alternative: 
  • in caso di consenso senza riserve al tipo di intervento, la conseguenza dannosa andrebbe imputata esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dall’errata esecuzione della prestazione medica;
  • in caso di diniego del consenso, il danno biologico scaturente dall’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo; tale violazione concorrerebbe, unitamente all’errore nell’esecuzione della prestazione medica, alla sequenza causale produttiva della lesione alla salute.
  1. Infine, le conseguenze dannose derivanti dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito in assenza di un consenso legittimamente prestato, debbono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il rifiuto che avrebbe opposto al medico. La prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi comprese massime di esperienza e presunzioni, non essendo risarcibile un danno in re ipsa, derivante esclusivamente dall’omessa informazione. Ai fini del risarcimento, due sono dunque le possibili situazioni ipotizzabili:
  1. Nessun risarcimento sarà dovuto al paziente in ipotesi di omessa/insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danni alla salute del paziente e al quale egli avrebbe comunque deciso di sottoporsi;
  2. In caso di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato un danno alla salute del paziente ma che gli abbia tuttavia impedito di accedere a più accurati e attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dall’omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale (quali sofferenza soggettiva, contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici).

La Corte ha quindi riaffermato che il diritto al consenso informato del paziente è un “diritto irretrattabile della persona”, che dev’essere sempre e comunque rispettato dal sanitario, con due uniche eccezioni.

La prima riguarda i casi di urgenza, purché si profilino a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale è stato richiesto ed ottenuto il consenso e l’urgenza sia tale da porre in gravissimo pericolo la vita della persona.

La seconda eccezione è quella che si configura proprio in tema di Trattamento Sanitario Obbligatorio, ma con le dovute specificazioni introdotte dalla pronuncia in commento.

Il limite invalicabile è in ogni caso il rispetto della dignità della persona, che trova fondamento diretto anche del diritto dell’Unione: l’art. 1 co. 1 della Carta di Nizza (Costituzione Europea) sancisce che “la dignità umana è inviolabile”.

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli