Quando cessa l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne?

Con l’ordinanza n. 17183/2020, la Cassazione civile ha stabilito il principio per cui i figli maggiorenni, ultimato il percorso formativo di studio, hanno il dovere di ricercare un lavoro che li renda autonomi, anche se non perfettamente conforme alle loro aspirazioni, poiché l’assegno di mantenimento versato dai genitori ha una funzione educativa e non può rappresentare un’assicurazione dalla durata illimitata.
L’ordinanza contiene un forte invito al passaggio dal principio del “diritto ad ogni possibile diritto” al principio di “autoresponsabilità” dei figli adulti, in maniera conforme all’evoluzione della società civile.
La Corte d’appello di Firenze, aveva revocato l’assegno di mantenimento versato dal padre a favore del figlio ultratrentenne, insegnante di musica precario, nonché l’assegnazione della casa familiare in ragione della cessazione della coabitazione con la madre.
La madre aveva quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, esponendo che il figlio, quale insegnate precario, non aveva ancora raggiunto una stabile indipendenza economica, né avrebbe potuto rinunciare ad una occupazione adeguata alle sue aspirazioni, idonea ad inserirlo, col dovuto prestigio, nel contesto economico-sociale.
La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, ben precisando i limiti dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne.
In primo luogo la Corte, sul piano normativo, ha evidenziato le diverse modalità per l’adempimento del dovere del genitore al mantenimento del figlio, a seconda che questi sia un minore (art.337-ter) o un maggiorenne non indipendente economicamente (art.337-septies).
In questo secondo caso, il diritto all’assegno di mantenimento è rimesso al prudente apprezzamento del giudice “valutate le circostanze” del caso concreto, con riferimento ad alcuni parametri che la Corte precisa.
In premessa la Corte, richiamando il precedente orientamento, sottolinea che “la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società” (Cass.n.18076/2014 e Cass.n.12952/2016).
In quest’ottica “è esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell’auspicato reperimento di un impegno più aderente alle proprie soggettive aspirazioni; non potendo egli, di converso, pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore” e ciò poiché “la pienezza della scelta esistenziale personale deve pur fare i conti nel bilanciamento con le libertà e diritti altrui di pari dignità”.
Ciò premesso, la Corte precisa che, con il compimento della maggiore età, l’obbligo al mantenimento non “è posto direttamente ed automaticamente dal legislatore, ma è rimesso alla dichiarazione giudiziale alla stregua di tutte le “circostanze” del caso concreto”. In particolare occorre “che la concreta situazione economica non sia il frutto di scelte irragionevoli e sostanzialmente volte ad instaurare un regime di controproducente assistenzialismo, nel disinteresse per la ricerca della dovuta indipendenza economica”.
Per i giudici di legittimità quindi

l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno con il raggiungimento della maggiore età, salva la prova (sovente agevolmente raggiungibile ed in via presuntiva) che il diritto permanga per l’esistenza di un percorso di studi o più in generale formativo in fieri. Il concetto espresso si lega a quello di “capacità lavorativa”, intesa come “adeguatezza a svolgere un lavoro remunerato”, capacità che si acquista con la maggiore età. 

In quest’ottica, “trascorso un sufficiente lasso di tempo dopo il conseguimento di un titolo di studio, non potrà più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto”, ritenuto che “la capacità di mantenersi e l’attitudine al lavoro sussistono sempre, in sostanza, dopo una certa età, che è quella tipica della conclusione media di un percorso di studio anche lungo, purchè proficuamente perseguito”.
Quindi, i criteri sui quali si fonda il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne devono individuarsi in primo luogo, in una particolare minorazione delle capacità personali, secondariamente nella permanenza di una proficua attività di studio condotta con diligenza, in terzo luogo nell’essere trascorso un lasso di tempo “ragionevolmente breve” dalla conclusione degli studi, nel quale il figlio si sia attivamente adoperato per la ricerca di un lavoro, da intendersi come “dovere di ricercare qualsiasi lavoro in qualunque direzione sia necessario”, e,  da ultimo nella mancanza di un “qualsiasi  lavoro sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale
Gli ermellini, muovendo dal principio che l’obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età del figlio, in quanto si presume “l’idoneità al reddito”, e quindi sussiste solo laddove stabilito dal giudice, concludono evidenziando che l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente.
Onere che sarà “tanto più gravoso man mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il “figlio adulto”.

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