CEDU: Il ritardo nei procedimenti per la determinazione delle modalità di visita di un padre al figlio minore viola il suo diritto al rispetto della vita familiare

A cura di Redazione Matrimonio e Convivenze

Una delle norme fondamentali in materia di famiglia è l’art. 8 CEDU, rubricato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare», che così recita: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Occorre precisare che il concetto di «vita familiare» include anche la parentela tra nonni e nipoti, zii e nipoti, purché venga provata l’esistenza di legami personali affettivi (come la coabitazione o le visite frequenti). Il rispetto della vita familiare così intesa comporta, per lo Stato, l'obbligo di agire in modo da consentire il normale sviluppo di tali legami, e quindi è strettamente connesso anche ai diritti e agli interessi tutelati dall’articolo 6 della Convenzione (diritto ad un equo processo).

Un chiaro esempio di tale obbligo, è rappresentato dalla sentenza pronunciata nella causa Anagnostakis e altri c. Grecia (Corte CEDU 281/2021 del 23.09.2021; ricorso no. 46075/16), nella quale la CEDU ha ritenuto, all'unanimità, che vi fosse stata una violazione dell'articolo 8 (sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea sui Diritti umani. Il caso riguardava i diritti di visita concessi ai ricorrenti (padre e nonni del minore) e la durata dei vari procedimenti che vedevano come controparte la madre del minore.

In particolare, i ricorrenti erano tre cittadini greci, rispettivamente, padre, nonna e nonno paterni di un bambino che, al momento della presentazione della domanda, aveva due anni.

Il minore era nato, nel settembre 2014 dalla relazione fra il sig. N. Anagnostakis e la sig.ra Evgenia - Marta Karabali. Il bambino era stato riconosciuto dal padre davanti ad un Notaio e nell’occasione i genitori avevano concordato l'esercizio della potestà genitoriale congiunta.

Nel novembre 2015 la sig.ra Karabali proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Atene, chiedendo l'adozione di provvedimenti cautelari affinché il padre o, in subordine, i nonni fossero condannati a pagare un'indennità provvisoria di € 1.000 al mese per il mantenimento del figlio minore. Anche i nonni nel dicembre 2015 avevano presentato una richiesta di misure cautelari contro la signora Karabali, chiedendo al Tribunale di esaminare la loro domanda contestualmente a quella della madre.

Con sentenza n. 2924/2016 del 27 giugno 2016, il Giudice di primo grado, accoglieva in parte la richiesta della signora Karabali, condannando il sig. N. Anagnostakis, in via provvisoria, al pagamento di € 600 al mese per il mantenimento del figlio, dall’altro, accoglieva parzialmente anche la richiesta dei nonni, disciplinando provvisoriamente i loro diritti di visita. Tali disposizioni venivano applicate fino all’udienza del 4 giugno 2018, fissata per la decisione della controversia. In data 10 settembre 2018, il Tribunale pronunciava la sentenza n. 585/2018, definendo così le modalità di visita per il primo ricorrente e l’ammontare del versamento mensile dovuto a titolo di mantenimento del minore.

La Corte d'Appello di Atene, su ricorso di entrambi i genitori, in data 21 marzo 2019, rideterminava l’ammontare dei pagamenti mensili per il mantenimento del minore, e verificava le modalità di visita imposte dal giudice di primo grado.

Il padre proponeva quindi "ricorso per Cassazione", sostenendo che fosse opportuno, individuare diverse modalità delle proprie frequentazioni al figlio. In data 11 agosto 2021 la Corte Suprema Greca (Arios Pagos) ha emesso la sentenza n. 1020/2021, contro la quale sono state lamentate le violazioni degli articoli 6 (diritto a un equo processo) e 8 (diritto al rispetto della vita familiare).

I ricorrenti, infatti, in data 28 luglio 2016, avevano depositato ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell'Uomo, lamentando, in primo luogo, le lungaggini processuali nonché i ritardi nell’emissione dei vari provvedimenti, ed in secondo luogo, la concessione, in via provvisoria, del diritto di visita al minore di sole tre ore a settimana.

La Corte ha dunque osservato che il primo ricorrente aveva presentato una richiesta di provvedimenti provvisori al Tribunale da esaminarsi il 18 dicembre 2015, e che, con decisione n. 2924/2016 del 27 giugno 2016, il giudice di primo grado decideva le modalità provvisorie di visita al minore. Tuttavia, l'udienza per l'esame della causa nel merito era stata fissata per il 4 giugno 2018, ovvero quasi due anni dopo, nonostante la ricorrente avesse chiesto, fin dall'inizio, che i provvedimenti sul diritto di visita al minore venissero concessi rapidamente e nel rispetto del principio della pari responsabilità genitoriale.

La Corte evidenziava che il procedimento, iniziato nel dicembre 2015, si concludeva con la sentenza n. 1020/2021 dell'Arios Pagos solo in data 11 agosto 2021. Il procedimento era quindi durato più di cinque anni e nove mesi, compresi i procedimenti interinali per i provvedimenti provvisori.

Pertanto, tenuto conto dell'obbligo positivo degli Stati di agire con particolare diligenza in casi simili, la Corte ha concluso che, nel caso di specie, il lungo periodo di tempo trascorso non poteva considerarsi ragionevole, ed era quindi evidente la violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

La Corte ha quindi condannato la Grecia a pagare al primo ricorrente € 2.600 a titolo di danno patrimoniale ed € 1.000 per le spese processuali.

Per quanto riguarda la posizione dei nonni del minore, il periodo di tempo da prendere in considerazione andava dal 10 dicembre 2015 al 27 giugno 2016, data in cui il giudice di primo grado, con provvedimento n. 2924/2016 concedeva loro provvisoriamente il diritto di visita. Di conseguenza, secondo la Corte, la durata del procedimento volto a determinare le modalità di visita al minore nei confronti di questi soggetti – inferiore a sei mesi - non era da considerarsi irragionevole e le autorità nazionali avevano correttamente adempiuto agli obblighi prescritti dall'articolo 8 della Convenzione. La loro domanda è stata pertanto respinta in quanto manifestamente infondata.

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli