Le disposizioni Anticipate di Trattamento (D.A.T.)

L’art. 4 della l. n. 219/2017 ha definitivamente legittimato nel nostro ordinamento le “Disposizioni anticipate di trattamento”, permettendo così ad “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte …di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e ai singoli trattamenti sanitari”.
Già la “Convenzione sui diritti umani e la biomedicina” firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 (all’art. 9) valorizzava “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà” prevedendo l’obbligo di “tenerli in considerazione”.
Nelle more della ratifica della Convenzione (L. n. 145/2001), il Codice di deontologia medica del 1998 (all’art. 34) aveva affermato il dovere del medico di “attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto manifestato dallo stesso”.
In tal senso si era espresso anche il Comitato Nazionale di Bioetica nel documento sulle “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento” del 18.12.2003.
L’art. 38 del CDM 2006, sotto la rubrica “Autonomia del cittadino e direttive anticipate”, recependo l’evoluzione della riflessione bioetica in materia, aveva previsto che “il medico .. deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia” del paziente e se questi “non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle  proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”.
Col CDM del 2014 tale previsione è stata rubricata “Dichiarazioni anticipate di trattamento” ed è stato esplicitato che “Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale. La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali. Il medico deve tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità della vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione sanitaria. Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di contrasto si avvale del dirimente giuridico previsto dall’ordinamento e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili”.
Anche per il Codice Deontologico dell’Infermiere del 2009 il professionista (art. 36) deve tutelare “la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita” e precisa al successivo art. 37 che “l’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato”.
Nel frattempo sotto la pressione della nota vicenda Englaro una prima proposta di legge era stata approvata dal Senato il 26.03.2009 ma non aveva avuto seguito per la mancata approvazione della Camera dei Deputati prima del termine della legislatura.
L’art. 3 di quella proposta introduceva la possibilità per il dichiarante di esprimere “il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in perdita della propria capacità di intendere e volere” precisando che “nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o la non attivazione di trattamenti sanitari ….”.
La Legge n. 219/2017 sicuramente innova rispetto a quel testo, sostituendo il termine “dichiarazioni” con “disposizioni” e prevedendo che “il medico è tenuto al rispetto delle DAT”, con ciò risolvendo in modo definitivo la questione - tutt’altro che scontata - della vincolatività del loro contenuto.
Si noti, infatti, che il Rapporto esplicativo della Convenzione di Oviedo (punto 62) nel 1997 aveva sottolineato che “quando le persone hanno previamente espresso i loro desideri, tali desideri dovranno essere tenuti in considerazione. Tuttavia, tenere in considerazione i desideri precedentemente espressi non significa che essi debbano necessariamente essere perseguiti".
Anche il Comitato Nazionale di Bioetica nel 2003, richiamandosi all’art. 9 della Conv. di Oviedo aveva evidenziato che “non a caso … la Convenzione … adotta le espressioni souhaits e wishes, che corrispondono al concetto di cosa desiderata, non di cosa imposta a terzi. La persona chiede che i suoi desideri siano rispettati, ma … a condizione che mantengano la loro attualità e cioè solo nel caso che ricorrano le condizioni da lui stesso indicate".
Il medesimo documento sottolineava come ci fosse “lo spazio per l’esercizio dell’autonoma valutazione del medico, che non deve eseguire meccanicamente i desideri del paziente, ma anzi ha l’obbligo di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica di questo e agli eventuali sviluppi della tecnologia medica o della ricerca farmacologica".
La legge n. 219/2017 sceglie invece quale regola giuridica generale l’obbligo del rispetto delle DAT da parte dei medici, cui ovviamente, consegue il loro esonero da responsabilità civile e/o penale.
Solo in ipotesi eccezionali è attribuita al medico la possibilità di discostarsi dalle DAT: quando il paziente esige trattamenti contrari alle norme di legge, alla deontologia o alle buone pratiche e quando le DAT “appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita” (Articolo 4, comma 5).
In tale ultima ipotesi il sanitario può disattendere le DAT con il consenso del fiduciario o, in mancanza, di un eventuale amministratore di sostegno a tal fine nominato. In caso di loro disaccordo, la decisione è rimessa al Giudice Tutelare.
Altra questione lungamente dibattuta anche in ambito nazionale ed internazionale e risolta dalla legge n. 219/2017 è relativa all’interrogativo se la nutrizione e l’idratazione artificiale siano da considerare un trattamento medico.
Ai fini della presente legge sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrate su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici” (art.4, quinto comma).
Sul punto anche il CNB si era diviso: per una parte dei componenti la nutrizione e l’idratazione (fornite per vie naturali o per vie artificiali) andavano considerate atti dovuti, “in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiche … per sopravvivere … il fatto che il nutrimento sia fornito attraverso un tubo o una stoma non rende l’acqua o il cibo un preparato artificiale ….” . Di conseguenza “la richiesta nelle dichiarazioni anticipate di trattamento di una sospensione di tale trattamento si configura come la richiesta di una vera e propria eutanasia omissiva".
Per altri membri del CNB, invece, l’alimentazione e l’idratazione artificiale costituivano a tutti gli effetti un trattamento medico, al pari di altri trattamenti di sostegno vitale quali, ad esempio, la ventilazione meccanica, in quanto “trattamenti che sottendono conoscenze di tipo scientifico e che soltanto i medici possono prescrivere, soltanto i medici possono mettere in atto attraverso l’introduzione di sondini o altre modalità anche più complesse, e soltanto i medici possono valutare ed eventualmente rimodulare nel loro andamento ... Non sono infatti cibo e acqua ad essere somministrati, ma composti chimici soluzioni e preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici …”.
La posizione da ultimo sintetizzata è quella fatta propria dalla l. n. 219/2017, ma, ancor prima, recepita dalla nota Sentenza della Corte di Cassazione n. 21748/2007 (caso Englaro) per la quale “non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario”.
Pacifico oggi, quindi, che le DAT possono contenere anche la rinuncia o il rifiuto a tali trattamenti.
L’art. 3 Cost. nell’affermare la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di “condizioni personali” trova oggi espressione proprio nelle DAT, strumento giuridico che permette alla persona che si trova in una “condizione clinica di sopravvenuta incapacità” di continuare un dialogo con i propri curanti, affinché le scelte diagnostico-terapeutiche possano rimanere aderenti alle sue più intime e personali convinzioni morali ed esistenziali.

 

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