Xenotrapianto: le nuove frontiere della scienza medica e la riflessione bioetica

di Cristina Arata, avvocato in Castelfranco Veneto

Nell’ospedale di Baltimora è stato di recente eseguito un trapianto di cuore di suino geneticamente modificato in un uomo di 57 anni, affetto da una grave patologia cardiaca, che lo rendeva inidoneo ad un trapianto di cuore umano.

L’intervento al momento sembra avere avuto successo, e il dottor Bartley Griffith, direttore del programma di trapianto cardiaco presso il centro medico dell’Università del Maryland ha commentato con entusiasmo la riuscita dell’operazione: “Il cuore funziona e sembra normale”.

Restano, tuttavia, molte incognite anche sul piano medico: si è trattato di un vero e proprio esperimento cui il paziente si è consapevolmente sottoposto, non avendo altre terapie a disposizione per tentare di sopravvivere. Attualmente il trapiantato è ancora collegato alla macchina cuore-polmone che lo teneva in vita prima dell’operazione. Il rischio maggiore pare essere la possibilità di contrarre il retrovirus suino, che risulta molto pericoloso per l’uomo.

Il cuore trapiantato è stato fornito da Revivicor, un’azienda di medicina rigenerativa che ha sede in Virginia, e apparteneva ad un maiale geneticamente modificato: sono stati inseriti nel genoma dell’animale sei geni umani e sono stati disattivati altri geni originari (come quello della crescita per impedire al cuore del maiale di continuare a crescere dopo il trapianto).

Va detto che il paziente era perfettamente consapevole del valore sperimentale dell’intervento, anzi che si trattava del primo tentativo in assoluto di trapianto di un organo di maiale sull’uomo. Quindi nessuna garanzia è stata fornita dall’équipe medica sull’esito dell’operazione chirurgica e sul decorso post operatorio. Lo stato terminale del malato lo ha indotto a fare questa scelta estrema.

Qualche mese prima (nell’ottobre 2021) a New York era stato tentato il trapianto di un rene di maiale geneticamente modificato su un paziente che, però, si trovava già in stato di morte cerebrale, tenuto in vita solo dalle macchine.

Gli xenotrapianti non sono una vera e propria novità scientifica, ma sinora avevano interessato operazioni minori: la pelle dei suini è stata usata in chi ha subito ustioni; le valvole cardiache dei suini sono state utilizzate in chi soffre di problemi cardiaci.

Per comprendere la delicata problematica sottesa a queste sperimentazioni, è necessario ripercorrere le motivazioni di questa ricerca scientifica, evidenziate di recente anche dal Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) nel parere reso al governo italiano in data 27 marzo 2020.

Il Comitato sottolinea come “nel mondo avvengano 114.000 trapianti d’organo salvavita all’anno a fronte di una richiesta di più di 1 milione (fonte: OMS). La sproporzione fra domanda e offerta di organi umani (cuore, fegato, rene, polmoni) è riducibile ma difficilmente eliminabile. Per questo è divenuto necessario sviluppare la ricerca di trapianti d’organo da altre specie, soprattutto suini (il 67% degli xenotrapianti come donatori) e al momento primati (ma anche suini) come riceventi”.

L’Unione Europea ha disciplinato la materia con la direttiva 2010/63/UE sulla “Protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”. L’art 2 consente la sperimentazione con l’impiego di animali, a determinate condizioni, quale base ancora oggi imprescindibile per il progresso delle conoscenze e delle terapie in medicina.

La direttiva è stata recepita in Italia nel 2014 con il decreto legislativo numero 26 (“Attuazione della direttiva 2010/ 63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”). Questo decreto ha introdotto, tuttavia, norme più restrittive rispetto alla direttiva europea, non permettendo le ricerche sugli xenotrapianti e sulle sostanze d’abuso.

Le sperimentazioni sugli animali per gli xenotrapianti (trapianti d’organo da altre specie, soprattutto suini e primati) e le sostanze d’abuso (alcol, droghe e farmaci) sono comunque proseguite anche in Italia attraverso una serie di moratorie del divieto previsto dal decreto. E potranno andare avanti fino a giugno del 2022, secondo quanto previsto dal decreto legge Milleproroghe che allunga, questa volta di soli sei mesi (e non di un anno come in precedenza) la moratoria.

Il CNB esprime preoccupazione: questa proibizione impedirebbe, ad esempio, di trapiantare tumori umani in topi immunodepressi o umanizzati. I modelli di xenotrapianto di cellule cancerose umane in topi immunocompromessi sono cruciali nello screening e nella valutazione dell’efficacia terapeutica e della tossicità di nuovi agenti antitumorali.

Inoltre, gli xenotrapianti effettuati con linee di cellule tumorali che esprimono fluorescenza, possono essere studiati mediante imaging ottico, tomografia computerizzata (TC) o risonanza magnetica (RMI), e sarebbero clinicamente rilevanti per comprendere il processo di invasione/metastasi.

Anche se i modelli animali in vivo sono imperfetti nell’estrapolazione delle caratteristiche del cancro umano, tuttavia i modelli di xenotrapianto sarebbero al momento indispensabili per convalidare l’efficacia e la tossicità dei composti antitumorali, ai fini della traslazione in studi clinici sull’uomo.

Questo divieto, sottolinea sempre il CNB, non esiste in altri Paesi, e rende difficile l’acquisizione di conoscenze fondamentali per il progresso biomedico a vantaggio delle persone affette da gravi patologie.

Anche nella “Relazione sul ricorso alla sperimentazione animale per le sostanze di abuso e xenotrapianto” dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini“ (IZSLER) si legge che “alla data odierna la completa sostituzione del modello animale nello studio delle proprietà di abuso dei farmaci non è realizzabile, in quanto non esistono metodi alternativi in grado di valutare gli effetti comportamentali e neurobiologici/psicologici indotti dall’assunzione/somministrazione di una sostanza“.

La relazione sottolinea l’importanza di standardizzare e semplificare i metodi di indagine, per trasferirli in modo sicuro all’uomo. Ma per ora scimmie e ratti resterebbero insostituibili, per quanto ridotti a piccoli numeri e trattati nel rispetto delle norme del benessere animale.

Il CNB conclude il suo parere affermando la necessità di consentire alla ricerca biomedica italiana, con tutti i necessari controlli, una maggiore possibilità d’azione in questi importanti ambiti della ricerca scientifica, evitando penalizzazioni e tempi di attesa fra un esperimento e l’altro, non comparabili rispetto a quelli di altri Paesi europei.

Il perdurare dei divieti non permetterebbe, infine, di realizzare o mantenere collaborazioni con gruppi di ricercatori europei ed extra europei, e tantomeno di accedere ai finanziamenti dell’Unione, isolando l’Italia dal resto dell’Europa in un settore di fondamentale importanza.

Anche il Comitato Nazionale per la Biosicurezza le Biotecnologie e le Scienze della vita (CNBBSV) aveva invitato il governo ad adeguare rapidamente il decreto legislativo alla direttiva europea 2010/63, al fine di rimuovere le cause di una possibile marginalizzazione del sistema di ricerca italiano, già fragile, e in modo da non tradire l’obiettivo di armonizzazione perseguito dalle nuove norme UE.

Per il CNB l’invito risulterebbe ancora più urgente in questo periodo così drammatico a causa della diffusione del contagio da SARS-CoV-2, per il contributo che la sperimentazione animale potrebbe fornire allo studio della patogenesi dell’infezione da coronavirus nell’uomo, per testare dei trattamenti antivirali efficaci valutandone anche i possibili effetti collaterali, per sviluppare future terapie e vaccini.

Né procedere attraverso moratorie produce, per il Comitato, particolare utilità per i ricercatori italiani: la maggior parte delle ricerche sono condotte in partnership con atenei stranieri, e sono pluriennali; mentre i nostri ricercatori non avrebbero la certezza di poter utilizzare le stesse metodologie dei loro colleghi stranieri nel medio periodo, e di accedere ai finanziamenti europei.

La questione è quindi complessa, sia sul piano medico sanitario che sul piano bioetico.

Sul piano medico la chirurgia sostitutiva (trapianti) rappresenta ancora oggi la terapia principale per diverse patologie umane ma, come detto in precedenza, i curanti non possono realizzare la gran parte dei trapianti necessari ai pazienti per carenza di organi e tessuti umani.

Per xenotrapianto si intende il trapianto di organi, tessuti o cellule di una specie animale in un’altra specie, sperimentazione che viene perseguita per verificare la possibilità di offrire in futuro all’uomo una riserva di organi, tessuti o cellule, rimediando alla carenza cronica di donatori umani.

I problemi medico sanitari non ancora risolti inerenti questa tecnica sono davvero molteplici: basta pensare alla possibilità di rigetto (il corpo del ricevente cerca di eliminare l’organo trapiantato per la presenza dei c.d. anticorpi xenoreattivi). Inoltre questi stimoli provenienti dagli anticorpi del ricevente attivano le cellule endoteliali dell’organo donato, potendo causare infiammazioni e trombosi.

Ovviamente l’organo trapiantato nel nuovo ospite dovrà funzionare correttamente, superando la barriera di specie. Sotto questo profilo oggi assume un ruolo importante l’ingegneria genetica, che consente la creazione e l’utilizzo di organi di animali transgenici (per introduzione di geni umani e/o inattivazione di altri geni originari dell’animale che vengono resi non più funzionali, il c.d. “Knock out”).

Il passaggio di specie implica, poi, la necessità di escludere la possibilità di introdurre, attraverso il trapianto, nuovi agenti infettivi nella popolazione umana (xenozoonosi).

Ma xenotrapianto e sperimentazione animale pongono anche questioni di natura prettamente antropologica ed etica.

La questione bioetica centrale è cercare di trovare un equilibrio nella tutela di due beni eticamente rilevanti: la ricerca scientifica da un lato e la tutela degli animali dall’altro.

Due le questioni principali: la praticabilità etica dell’utilizzazione di animali per migliorare la sopravvivenza e il benessere dell’uomo; l’eventuale impatto oggettivo e soggettivo che un organo o tessuto di origine animale può avere sull’identità del soggetto umano che lo riceve.

Che esista un problema etico è dimostrato dal fatto che per la stessa direttiva UE la via da perseguire nel prossimo futuro è costituita dalla promozione di una ricerca medico scientifica con “metodi alternativi” alla sperimentazione animale.

Se, quindi, al momento la legislazione sia internazionale che nazionale considera la sperimentazione animale ancora necessaria, questa stessa legislazione si sta comunque evolvendo in direzione del superamento di questo approccio scientifico, ispirandosi al modello delle 3 R (Reduction, Replacement, Refinement).

Se l’animale e l’uomo hanno una dignità equivalente, l’uso degli animali è considerato una forma di “specismo” o “tirannia” dell’uomo: neppure il fatto di essere di aiuto per la sofferenza umana potrebbe giustificare in sé l’uso degli animali, a meno che non si ammetta anche la possibilità opposta.

A questa posizione più radicale se ne contrappone un’altra più moderata, la c.d. etica della responsabilità: il sacrificio degli animali può essere giustificato se richiesto dal raggiungimento di un bene rilevante per l’uomo, e con modalità sempre rispettose della vita.

Questo rispetto impone di evitare agli animali sofferenze inutili, di seguire criteri di necessità e ragionevolezza, di evitare modificazioni genetiche non controllabili che possono alterare in modo significativo la biodiversità e l’equilibrio delle specie nel mondo animale.

Questa capacità di manipolazione pervasiva dell’uomo, come già detto, è resa esponenziale dall’ingegneria genetica, che crea animali transgenici, modificati mediante l’introduzione nel loro patrimonio genetico di nuovi geni, spesso umani. Viene poi spesso utilizzato anche il cosiddetto knock out: la disattivazione di geni endogeni degli animali.

Gli animali così trattati esprimeranno caratteristiche particolari, che saranno inevitabilmente trasmesse alla loro progenie.

L’attuale livello di sperimentazione e di transgenesi, secondo gli studiosi, non ha al momento compromesso l’identità genetica complessiva degli animali mutati e della loro specie.

Ma è evidente che la manipolazione genetica deve e dovrà avere dei limiti e soggiacere a controlli rigorosi.

Va chiaramente garantito il benessere degli animali geneticamente modificati e valutato sempre l’effetto dell’espressione del transgene, le eventuali conseguenti modificazioni degli aspetti anatomici, fisiologici e comportamentali degli animali.

Devono essere evitati o comunque limitati il più possibile stress, dolore, sofferenza ed angosce.

Devono, poi, essere rigorosamente considerati gli effetti sulla progenie di queste modificazioni.

Per questo gli animali transgenici devono essere tenuti sotto stretto controllo, e certamente non rilasciati liberi nell’ambiente.

E sempre per questo, è necessario minimizzare il più possibile il numero degli animali utilizzati nella sperimentazione.

La ricerca deve, quindi, seguire rigorosi protocolli, che prima di essere applicati dovranno essere sottoposti a valutazione anche da parte di un comitato etico competente.

Un ultimo importante aspetto da considerare in merito agli xenotrapianti è l’impatto psicologico e simbolico dell’innesto di organi animali nel corpo umano: l’impianto di un organo estraneo al corpo originario dell’uomo ne può modificare l’identità e il senso di sé, per cui è sempre necessario valutare fino a che punto sono accettabili i livelli di modificazione auspicata e raggiunta con lo xenotrapianto.

Accanto alle questioni sanitarie di tipo immunologico (rigetto) virologico (retrovirus) e genetico (passaggio di materiale genetico dall’animale all’uomo) vi sono, quindi, serie problematiche etiche, connesse all’identità personale del ricevente.

Ogni essere umano è unico ed irriducibile, sia a livello ontologico che psicologico: nel suo essere e sentirsi persona.

In quanto qualità intrinseca, l’integrità dell’identità personale è un valore morale imprescindibile.

L’impianto di un organo estraneo al corpo di un uomo trova quindi, inevitabilmente, un limite etico nel grado di modificabilità che esso eventualmente comporti per l’identità della persona che lo riceve.

Sotto questo profilo non tutti gli organi del corpo umano sono uguale espressione dell’unicità e dell’irripetibilità della persona.

Alcuni hanno una forte carica simbolica più o meno penetrante a seconda della soggettività dell’individuo.

Altri organi, come l’encefalo e le gonadi, hanno una relazione inscindibile, per la loro propria funzione, con l’identità personale del soggetto, indipendentemente dalla loro valenza simbolica.

Mentre questi ultimi organi non potranno mai lecitamente essere trapiantati, per le inevitabili conseguenze oggettive che produrrebbero nel ricevente o nei suoi discendenti, gli altri organi meramente funzionali, ma anche quelli con maggiore valenza personalizzante, dovranno essere di volta in volta valutati, necessariamente caso per caso, proprio in funzione della carica simbolica che vengono ad assumere per ogni singola persona

Il “possibile scientificamente” deve e dovrà sempre, quindi, misurarsi con questioni trasversali e limiti etici, sia generali alla specie umana che prettamente individuali.

È peraltro auspicabile lo sviluppo di una scienza medica e di una etica scientifica che riesca a individuare modelli e livelli diversi e alternativi alla sperimentazione sugli animali.

E la storia della ricerca del secolo scorso dimostra come la riflessione bioetica non sia un limite ma una suggestione per il “giusto” progresso scientifico: quando è stata esclusa la possibilità di ricavare cellule staminali dagli embrioni umani, in poco tempo è stata individuata la tecnica che consente di far regredire le cellule adulte a staminali embrionali, permettendo peraltro in tal modo un maggiore e più penetrante uso delle stesse.

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