La tutela dell’ambiente e degli animali: la revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione

A cura di Redazione Biodiritto

A partire dalla metà degli anni Ottanta, in Italia si è progressivamente consolidato un vero e proprio “diritto dell’ambiente” di matrice giurisprudenziale. In questo processo un ruolo fondamentale è stato rivestito dalle numerose pronunce della Corte Costituzionale in materia.

Ovviamente è un assetto di principi caratterizzato dalle debolezze ed incertezze tipiche di un diritto di formazione pretoria, connotato inevitabilmente dalla frammentarietà e dalla precarietà proprie della dimensione casistica.

Si comprende, dunque, la necessità e l’utilità di un intervento di normazione positiva, che consolidi in maniera definitiva gli approdi giurisprudenziali costituzionali ritenuti oramai condivisi e irretrattabili, così che possano essere acquisiti definitivamente al patrimonio della Carta fondamentale dello Stato.

In Italia, la tutela dell’ambiente rientra tra gli interessi pubblici di rilievo costituzionale, e trova fondamento implicito nel combinato disposto degli articoli 9 e 32 della Costituzione.

L’ambiente non è solo oggetto di un diritto fondamentale o di una qualunque altra situazione giuridica soggettiva individuale o collettiva, ma rappresenta un valore costituzionale primario, la cui tutela si atteggia come interesse tipicamente trasversale rispetto ad una molteplicità di settori, materie ed ambiti oggettivi, nei quali intervengono le politiche pubbliche.

Il 12 ottobre scorso, la Camera dei deputati ha approvato, in sede di prima deliberazione e senza modificazioni, il disegno di legge di riforma costituzionale che prevede la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione.

L’ Assemblea del Senato della Repubblica aveva approvato in prima lettura il testo di revisione costituzionale, intitolato “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente” ancora il 9 giugno 2021 (dopo più di un anno e mezzo di lavori in sede referente della I Commissione permanente): sono stati esaminati congiuntamente otto diversi disegni di legge costituzionale.

Trattandosi di una legge volta alla revisione del testo costituzionale, si rende necessaria la doppia deliberazione da parte del Parlamento; dunque, l’iter necessario per l’attuazione delle modifiche è ancora in corso.

L’ambiente è in sé un valore e un’entità multidimensionale, complessa e mutevole nel tempo: la sua tutela non è quindi suscettibile di essere attuata mediante il solo strumento dei diritti o delle altre situazioni giuridiche soggettive.

È necessariamente oggetto di politiche pubbliche, di strategie e di azioni di tutela affidate ai titolari del potere legislativo ed amministrativo: loro il compito principale di assicurare un’efficace salvaguardia e protezione ambientale.

Ovviamente, per valutare in sede giurisdizionale le scelte degli amministratori e del legislatore c’è bisogno di precisi parametri normativi, posti a presidio della validità delle decisioni e degli atti. In mancanza il giudice costituzionale può solo operare un controllo esterno sulla non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte di volta in volta attuate.

Di qui l’esigenza imprescindibile di una disciplina giuridica di rango costituzionale in materia ambientale: per evitare che l’operato del legislatore venga sottoposto alla sola garanzia del sindacato giurisdizionale di non manifesta irragionevolezza, è necessario orientare, limitare e vincolare le scelte legislative con norme di rango sovraordinato, che possano fungere da presidio di legalità e di legittimità.

E dunque, come autorevolmente sottolineato (cfr. M. Cecchetti, Prof. Ord. Istituzioni di diritto pubblico Università di Sassari “La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3, 2021, 288 s.) quanto più la disciplina sarà puntuale e analitica nel fornire al legislatore le coordinate e i vincoli in base ai quali costruire le politiche ambientali, tanto meno le scelte legislative rimarranno affidate a valutazioni di ordine politico e al sindacato di non manifesta irragionevolezza dei giudici.

Il DDL è costituito da tre articoli: il primo introduce un nuovo comma all’art. 9; il secondo modifica l’art. 41 della Costituzione, e infine il terzo introduce una clausola di salvaguardia per l’applicazione del principio di tutela degli animali.

Il testo dell’art. 9 attualmente in vigore menziona solo il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, mentre nella sua versione finale dovrebbe prevedere che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Una novità significativa è di carattere sistematico e attiene alla gerarchia delle fonti del diritto: la tutela dell’ambiente, oggi menzionata solo ed esclusivamente nelle materie di competenza esclusiva statuale (ex art. 117 co. 2 lett. s), viene elevata al rango di principio fondamentale.

Come sottolineato (cfr. M.Cecchetti opera citata pag. 303.), la scelta del legislatore costituzionale del 2021 di intestare la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi alla Repubblica ha il preciso significato di accogliere il principio del “compito comune” a tutti gli enti e le istituzioni che la compongono, fermo restando il doveroso rispetto delle norme costituzionali contenute nel Titolo V della Parte II della Carta. Emerge quindi, a livello formale, in termini di diritto costituzionale positivo una concezione di tutela dell’ambiente come interesse tipicamente trasversale.

L’art. 41 della Costituzione invece, attualmente composto da tre commi, nella riforma prevede l’introduzione di alcuni incisi: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini fiscali e ambientali”.

L’iniziativa economica privata viene, dunque, sottoposta a due ulteriori limiti rispetto a quelli già previsti; non potrà essere svolta con modalità tali da recare danno, oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, anche e in primis alla salute e all’ambiente, limiti anteposti rispetto a tutti gli altri.

La nuova formulazione prevede, altresì, che la destinazione ed il coordinamento dell’attività economica pubblica e privata avvengano non solo per fini sociali ma anche per fini ambientali.

Infine, la clausola di salvaguardia prevede che “La legge dello Stato che disciplina i modi e le forme di tutela degli animali, di cui all’art. 9 della Costituzione, come modificato dall’art. 1 della presente legge costituzionale, si applica alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle competenze legislative ad esse riconosciute dai rispettivi statuti”.

La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi viene così inserita all’interno dei principi fondamentali della Carta Costituzionale, anche nell’interesse delle future generazioni.

Proprio quest’ultimo aspetto rappresenta un’ulteriore novità introdotta dalla legge di revisione costituzionale: per la prima volta la tutela è rivolta ai posteri, in una formulazione assolutamente innovativa per la Costituzione.

La congiunzione “anche” lega in maniera indissolubile riferimenti oggettivi e soggettivi: nella tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è da ritenersi implicito il riferimento agli interessi delle generazioni presenti e, in maniera speculare, dopo la congiunzione il riferimento va all’interesse delle generazioni future.

L’impostazione così perseguita dal legislatore non può essere definita marcatamente antropocentrica; viene invece mantenuta aperta la possibilità di una coesistenza tra un approccio più vicino a una concezione di tipo antropocentrico e uno più legato ad una concezione ecocentrica (Cfr. M. Cecchetti, La revisione cit, 309 ss.).

Sempre sul piano della formulazione lessicale, la norma non presenta la struttura rigida di una regola, ma quella più aperta e tipica dei principi: non è essenziale che vengano identificati con certezza i soggetti futuri cui si fa riferimento; la necessità è poter guardare lontano, così da costruire politiche ambientali che possano assicurare una coesistenza di lungo periodo del genere umano all’interno dell’ecosistema.

L’ambiente non è più semplice res, ma valore primario costituzionalmente protetto.

L’ulteriore novità è rappresentata dall’introduzione, all’interno del testo costituzionale, della tutela degli animali. Vengono anche qui superate tutte quelle categorizzazioni finalizzate alla loro riconduzione tra i soggetti piuttosto che tra gli oggetti di diritto.

Gli animali sono, prima di tutto, esseri viventi senzienti, ovverosia dotati di caratteristiche biologiche e prerogative proprie, e sono capaci di avvertire la differenza tra benessere e dolore, e tra le condizioni propizie o nocive alla loro sopravvivenza.

Risulta importante sottolineare che tale concezione, a livello di ordinamento europeo, non costituisce un quid novi; già all’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE è prevista la qualificazione degli animali come esseri senzienti: “(…) L’Unione e gli Stati membri devono, poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali, sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali”.

Anche se (cfr. M. Cecchetti op. citata) la riserva di legge statale per la disciplina dei modi e delle forme di tutela degli animali appare inopportuna per tre motivi: nella sua ratio, la riserva di legge esprime la logica di una “mera attribuzione di competenza esclusiva in capo al legislatore statale”, che avrebbe potuto trovare una più opportuna collocazione all’interno del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione.

In secondo luogo, lo scorporo della tutela degli animali rispetto a quella dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, senza alcuna specificazione riguardante la sensitività che li caratterizza e li distingue dagli esseri non senzienti, rischia di confondere la mappatura dei valori costituzionali di cui si propone la positivizzazione.

Infine, anche interpretando la disposizione non come riserva di legge ma come semplice attribuzione allo Stato di una competenza legislativa esclusiva, secondo il modello dell’art. 117, sarebbe in ogni caso poco opportuna, irrigidendo in maniera eccessiva il riparto della potestà legislativa, escludendo la competenza regionale (che fino ad oggi è stata assai feconda in tema di protezione degli animali) e non aggiungendo molto alle attuali competenze riconosciute al legislatore statale.

Lo sguardo europeo sembra sotto questo profilo più ampio. Nel diritto dell’Unione è andato progressivamente affermandosi un modello più evoluto nell’elaborazione e attuazione delle politiche di tutela ambientale. Le sue radici risalgono all’Atto Unico Europeo del 1986 ed oggi è contenuto nel diritto dei Trattati.

Il TUE e il TFUE costituiscono un diritto gerarchicamente sovraordinato rispetto al diritto derivato proprio delle istituzioni dell’Unione, e dunque capace di funzionare quale parametro di validità per le politiche ambientali che si realizzano in quell’ordinamento.

I due Trattati delineano un modello di tutela dell’ambiente fondato su due colonne portanti.

Anzitutto un’articolata disciplina sostanziale specifica ed analitica, nella quale si possono individuare i fondamenti, i tipi di approccio, obiettivi, principi e parametri delle politiche ambientali dell’Unione, oltre che i criteri per la ripartizione delle competenze ambientali tra livello sovranazionale e Stati membri, secondo il principio di corresponsabilità.

Vi è poi una particolare attenzione, sul piano formale, al metodo di elaborazione e di attuazione delle politiche ambientali.

I Trattati europei non fanno riferimento ad un diritto soggettivo individuale o collettivo, che possa essere genericamente riferito all’ambiente e alla sua tutela; perseguono piuttosto un “approccio per politiche”, che richiede la mediazione indispensabile da parte della legislazione e dell’amministrazione, prima che gli interessi meritevoli di tutela vengano affidati al vaglio dei giudici.

All’interno dei Trattati non è possibile rinvenire una definizione normativa di ambiente.

La politica ambientale dell’Unione è stata delineata mediante l’indicazione, rinvenibile al paragrafo 1 dell’art. 191 TFUE, dei quattro obiettivi che essa direttamente contribuisce a perseguire:

la salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente”;

la “protezione della salute umana”;

l’“utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”;

la “promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici”.

È quindi un valore normato per obiettivi, capace di espandersi ed adeguarsi rapidamente alle specifiche esigenze e alle situazioni di protezione e tutela che si delineeranno nel tempo, e di operare in modo trasversale anche sul piano delle competenze e della necessaria interazione tra le azioni delle autorità pubbliche chiamate a perseguire ai vari livelli di governo gli obiettivi stessi.

La riforma costituzionale italiana, accolta al momento come una “conquista storica”, sembra per questo non convincere del tutto la dottrina giuridica.

Se presenta alcuni contenuti da apprezzare, al tempo stesso porta significative le lacune, frutto del “compromesso” politico. Per questo aspetto rischia di essere un’occasione persa.

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