Un singolo episodio di violenza fisica giustifica l’addebito della separazione

24 DICEMBRE 2022 | Addebito

di avv. Monica Mocellin

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27324/2022, ha statuito che la violenza fisica di un coniuge nei confronti dell’altro, anche se concretizzatasi in un singolo episodio, costituisce una violazione talmente grave dei doveri nascenti dal matrimonio da giustificare non solo la pronuncia di separazione personale dei coniugi, ma anche la dichiarazione di addebito a carico dell’autore della violenza.

Nella specie, in un giudizio di separazione coniugale la moglie ricorreva in Cassazione - per motivi sia di ordine processuale che di merito - avverso un provvedimento con cui la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato la sua impugnazione della sentenza di primo grado.

Per quanto qui di interesse, e perché l’unico motivo ritenuto fondato dagli Ermellini, la ricorrente censurava la sentenza della Corte di merito per aver omesso di considerare un fatto decisivo costituito dalla sentenza emessa dalla Corte di Appello penale di Bologna che aveva condannato il marito per il delitto di lesioni aggravate nei suoi confronti.

Secondo la ricorrente, la sentenza di condanna penale - confermata dalla Suprema Corte Penale - avrebbe dovuto determinare la Corte di Appello ad addebitare la separazione al marito, a nulla rilevando l’assunto della Corte stessa relativo ad una presunta riconciliazione tra i coniugi che avrebbe avuto luogo dopo l’episodio di violenza del gennaio 2009. La Corte, in particolare, aveva ritenuto rilevante la circostanza che il rapporto coniugale fosse stato caratterizzato da continui e reciproci scontri tra i coniugi dal novembre 2008 sino al 2013 (anno del deposito del ricorso per separazione) e aveva valorizzato una riconciliazione avvenuta prima del deposito del ricorso per la separazione giudiziale.

 La separazione, pertanto, secondo il giudice dell’appello non sarebbe stata causalmente ricollegabile all’unico atto violento del marito risalente all’anno 2009.  

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha accolto le doglianze della ricorrente sul punto ritenendole fondate ed evidenziando come la sentenza di merito impugnata non fosse conforme ai principi di legittimità riguardo sia agli elementi rilevanti per la pronuncia di addebito sia nel ravvisare una piena riconciliazione tra i coniugi.

Infatti, secondo l’orientamento costante della Suprema Corte, “…i comportamenti reattivi del coniuge, che sfociano in azioni violente e lesive dell’incolumità fisica dell’altro coniuge, rappresentano, in un giudizio di comparazione al fine di determinare l’addebito della separazione, causa determinante dell’intollerabilità della convivenza, nonostante la conflittualità fosse risalente nel tempo ed il fatto che l’altro coniuge contribuisse ad esasperare la relazione”. Invero, “…le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole - quand'anche concretatisi in un unico episodio di percosse - non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale” (Cass. n.7388/2017; Cass. n.3925/2018).

Sempre secondo la Suprema Corte, anche un unico episodio di violenza fisica “…integra un comportamento idoneo, comunque, a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. n.433/2016) e la reazione aggressiva della vittima non ne riduce la portata e l'efficienza causale”.

Inoltre, quanto alla riconciliazione giuridicamente rilevante, la Suprema Corte afferma che “…non è sufficiente per provare la riconciliazione tra coniugi separati, considerati gli effetti da essa derivanti, che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale e provvisorio, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale (Cass. 19497/2005; Cass. 19535/2014; Cass. 1630 del 23/01/2018, Cass. 20323/2019)”. Da ciò consegue che “laddove emerga una crisi coniugale prolungata ed irrisolta, i tentativi di superarla – nell’ambito del quale può collocarsi la rinuncia ad un ricorso di separazione da parte del marito, come avvenuto nel caso in esame – non possono essere qualificati come “riconciliazione” in assenza di elementi univoci e significativi del pieno e concreto ripristino della comunione di vita e di affetti”

La sentenza impugnata è stata, pertanto, cassata sul punto.

Il provvedimento in commento che applica al coniuge violento l’ulteriore sanzione dell’addebito della separazione, rappresenta il precipitato di un diverso, più recente e più sensibile sentire sociale confluito nella normativa sovranazionale e, poi, nazionale emanata a tutela delle vittime di violenza.

La giurisprudenza della CEDU e, ora sempre più spesso, la giurisprudenza nazionale sia di merito che di legittimità (nell’ampia cornice legislativa adottata e in via di imminente adozione in attuazione della riforma Cartabia) riconoscono e garantiscono i diritti e la tutela delle vittime di violenza all’interno delle relazioni: non è quindi da escludere che oggi anche i giudici che si sono occupati del caso in esame nei precedenti gradi di giudizio avrebbero potuto approdare ad una diversa decisione in punto addebito.

Nulla sappiamo, poi, in ordine alla decisione relativa ai due figli della coppia che, stante le disposizioni dell’art. 31 della Convenzione di Istambul, oggi con grandissima probabilità andrebbero affidati in via esclusiva alla madre.

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