L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato risolve la questione dei rimedi esperibili per ottenere la documentazione fiscale del coniuge

di Gianluca Conte, dottore magistrale in Giurisprudenza

In questa newsletter abbiamo già affrontato il tema del conflitto giurisprudenziale, sorto in seno alla quarta sezione del massimo organo della giustizia amministrativa. La questione riguarda il problema se la previsione, di strumenti volti ad ottenere la produzione in giudizio di atti e documenti detenuti dalla PA nell’ordinamento processualcivilistico, precluda, per la parte che vi abbia interesse, la possibilità di utilizzare i diversi strumenti predisposti dalla Legge n. 241 1990 o se, al contrario, le due categorie di istituti siano indipendenti e impiegabili cumulativamente.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha risolto la questione, dopo essere stata adita con ordinanza di rimessione in seguito ad un ricorso avente ad oggetto la richiesta di accesso ai dati fiscali e finanziari presentata da una parte di un procedimento di separazione giudiziale.
Nell’ordinanza di rimessione venivano poste una serie di domande, le più rilevanti delle quali si possono così riassumere:
    • se la documentazione finanziaria, patrimoniale e reddituale sia qualificabile “accessibile” ai sensi della l. n. 241/90;
    • quale sia il rapporto fra le disposizioni sull’accesso ai documenti amministrativi e le norme processualcivilistiche per l’acquisizione dei medesimi documenti al processo e, in particolare, se l’accesso sia esercitabile “indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria […] o anche concorrendo con le stesse” o se, all’opposto, la previsione di modi di acquisizione di natura processuale precluda l’utilizzabilità dei rimedi della l. n. 241/90.
I giudici, analizzando le ragioni delle contrapposte tesi, esplicitano come il collegio rimettente apparisse propenso ad accogliere l’ipotesi più “ampia” e richiamano le tesi a sostegno di questo indirizzo; e cioè che:
    • non sussisterebbe rapporto di specialità fra le due normative bensì, di complementarità e concorrenza; la disciplina dell’accesso agli atti, quindi, costituirebbe “principio generale dell’attività amministrativa”;
    • la ratio dell’istituto sarebbe ravvisabile nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento sanciti in Costituzione dall’art. 97;
    • il diritto di accesso sarebbe estrinsecazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e della tutela dei diritti fondamentali dei familiari e, in particolare, dei figli minorenni;
    • sussisterebbe un più consolidato indirizzo giurisprudenziale favorevole ad ammettere senza limitazioni l’esercizio del diritto di accesso anche in pendenza di un giudizio civile;
    • l’allargamento dei poteri istruttori del giudice non potrebbe dar luogo a ipotesi derogatorie della disciplina dettata dalla l. n. 241/90 e la piena esplicazione del diritto di difesa non potrebbe dipendere dall’esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice;
    • infatti, l’accesso potrebbe essere richiesto anche prima dell’instaurarsi di un procedimento civile per prevenire gli effetti negativi di un “ricorso al buio”, con effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario;
    • il superamento delle lacune istruttorie, che generalmente si verificano “a cagione del comportamento processuale di una parte”, richiederebbe l’utilizzo di tecniche d’indagine molto invasive, con “notevole dispiego della forza pubblica” e, comunque, sono raramente autorizzate dal giudice.
La tesi contrapposta si fonda principalmente sul fatto che solo nel processo potrebbe essere rispettato il diritto al contraddittorio nell’acquisizione di un elemento di prova e che la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi costituirebbe un aggiramento delle norme sull’acquisizione probatoria.
In risposta al primo quesito, il Consiglio di Stato accoglie una nozione ampia di documento amministrativo, rilevando che comunque non sussiste un vero conflitto giurisprudenziale sul tema. In senso generale il documento o atto amministrativo può essere definito come ogni rappresentazione, grafica, foto o video-grafica, elettromagnetica e su qualunque supporto del contenuto di atti detenuti dalla PA o utilizzati ai fini dell’attività amministrativa, anche se non relativi ad uno specifico procedimento.
Il secondo punto, il più rilevante, riguarda il rapporto fra accesso difensivo ex art. 24, co. 7, l. n. 241/90 e strumenti processualcivilistici di acquisizione probatoria.
L’Adunanza plenaria, a questo proposito, adotta un rigoroso percorso logico-argomentativo che segue il seguente percorso: inquadramento generale dell’istituto di accesso amministrativo, individuazione, in questa categoria, della due specie di accesso, confronto fra le fattispecie amministravi e processualcivilistica per verificare il rapporto fra esse.
Sotto il profilo generale, la sentenza muove dalla definizione data dall’art. 22, co 2, l. n. 241/90 “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Da ciò, l’Adunanza plenaria ricava che “l’accesso è principio regolatore dell’attività amministrativa; quanto all’oggetto, l’accesso soddisfa finalità di pubblico interesse; in relazione alla funzione, l’accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza”.
Sotto il profilo della sussistenza di due diverse specie di “accesso amministrativo” la Corte argomenta come l’art. 24, co 7, l. n. 241/90 “enuclei una funzione autonoma dell’accesso e la costruisce come eccezione rispetto all’elenco delle esclusioni dal diritto di accesso”.
La norma è quella per cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
In sostanza, per l’Adunanza sussistono due distinte ipotesi di diritto di accesso, una più generale che muove da una logica partecipativa e di trasparenza (che incontra pesanti limitazioni in tema di dati sensibili e super sensibili), e una speciale, costituita dall’accesso “difensivo”, che risponde ad una logica di tutela di interessi giuridicamente rilevanti e non incontra limiti di quel genere, ma per la quale è richiesta solo una più attenta ponderazione delle esigenze in gioco da parte della PA cui è rivolta l’istanza.
Il d.P.R. n. 184/2006 definisce l’interesse legittimante tale fattispecie di accesso come “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Il criterio della corrispondenza circoscrive l’ambito dell’interesse all’accesso, legandolo a situazioni giuridiche soggettive e predeterminate dal contenuto ampio, ricomprendendo sicuramente diritti soggettivi e interessi legittimi, ma che per l’Adunanza corrispondono anche a “necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli)”.
Per quanto attiene al requisito del “collegamento”, questo circoscrive ulteriormente la situazione legittimante l’accesso nel senso che essa deve essere “collegata al documento”, evidenziando il nesso di strumentalità fra “la situazione soggettiva finale e il documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite”.
In questo senso la motivazione che deve accompagnare l’istanza serve a consentire alla PA di verificare la sussistenza di questi requisiti ed il Consiglio di Stato esclude che possa essere sufficiente un generico riferimento ad imprecisate esigenze probatorie.
In punto di rapporto fra i due istituti, per il Consiglio di Stato l’azione volta alla pretesa sostanziale è autonoma rispetto a quella volta a reperire la documentazione utile a sostenere le allegazioni difensive, e da tale autonomia deriva che l’accesso non presuppone l’instaurazione o la pendenza di un giudizio.
L’accesso difensivo avrebbe dunque una “duplice natura giuridica, sostanziale e processuale”. La prima dipendente dal fatto che l’accesso è strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale. La seconda è legata al fatto che il legislatore ha dotato di azione la pretesa di conoscenza rendendo giuridicamente tutelabile l’illegittimo diniego o silenzio.
Al contrario, rileva il Consiglio di Stato, gli strumenti processualcivilistici di acquisizione probatoria “vivono” solo all’interno del processo pendente e, oltre che soggetti alla discrezionalità del giudice, non sono impugnabili o ricorribili, potendo valere, i vizi istruttori, solo come motivo d’impugnazione della sentenza.
In sostanza, sono ben distinti il diritto all’ostensione, vantato nei confronti dell’amministrazione pubblica, e il diritto alla prova, quest’ultimo “come protezione dell’interesse processuale della parte alla rappresentazione in giudizio, attraverso un determinato documento, dei fatti costitutivi della domanda, subordinato alla duplice valutazione giudiziale della concludenza e della rilevanza dello specifico mezzo di prova”.
Peraltro, la Corte rileva come l’evoluzione storica delle due normative sia sempre stata caratterizzata da una ratio espansiva delle possibilità del soggetto che cerchi di reperire documenti da produrre in giudizio.
Si sono introdotti nuovi strumenti di ricerca (fra cui proprio l’accesso agli atti), ma anche quelli preesistenti sono stati “allargati” (per esempio, prevedendo le ricerche nelle banche dati).
Se ora andassimo a ricostruire l’istituto dell’accesso agli atti in maniera “recessiva” rispetto agli strumenti del codice di procedura civile, andremmo, secondo il Consiglio di Stato, in senso contrario all’evoluzione storica delle due discipline.
La sentenza compie, poi, alcune considerazioni sulla “natura giuridica dei metodi di acquisizione probatoria previsti da codice di rito”, rilevando come le norme sulla produzione documentale siano solo uno dei “metodi di acquisizione delle prove”.
Inoltre, la produzione in giudizio di documenti, nei giudizi di primo grado, è sottratta alla preventiva valutazione di rilevanza del giudice. In quanto prove precostituite, l’acquisizione non comporta aggravio per le attività processuali e la loro rilevanza verrà valutata solo nella fase decisoria. Paradossalmente, pretendere che l’acquisizione di documenti, che ben potrebbero essere acquisiti con procedure esterne al processo e senza aggravi per la procedura, debba essere richiesta, valutata ed eventualmente autorizzata dal giudice violerebbe il principio dell’economia processuale e, conseguentemente, la ragionevole durata del processo.
Peraltro, l’obiezione per cui solo all’interno del processo potrebbe essere pienamente rispettato il principio del contraddittorio si presta a critiche di non poco rilievo. Innanzitutto, anche nella procedura amministrativa di accesso agli atti al controinteressato è data facoltà di presentare osservazioni che mirino ad escludere l’accesso (e non si può rilevare come tendenzialmente le amministrazioni tendano ad essere piuttosto parche nell’ostensione della documentazione, anche in casi in cui l’istanza è ben motivata) e avverso il provvedimento di accoglimento dell’istanza è esperibile impugnazione avanti la giustizia amministrativa.
Inoltre, una volta che l’istante avrà, teoricamente, acquisito il documento, la sua rilevanza potrà comunque essere contestata in giudizio e si potrà fornire prova contraria rispetto alle sue risultanza. Infine, la dottrina e la constante giurisprudenza sono concordi nel ritenere che gli ordini di esibizione dovrebbero assumere “carattere residuale di extrema ratio […] adottati solo qualora la parte non sia in condizione di acquisire il documento attraverso altri strumenti offerti dall’ordinamento” (incluso lo strumento dell’art. 22 e ss. l. n. 241/90).
A sostegno di tali considerazioni, nella sentenza sono riportate numerose pronunce della Cassazione Civile, dalle quali il Consiglio di Stato ricava che “gli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., quale interpretati e applicati da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘finale’, tutt’al contrario sembrano presupporre (e in qualche modo imporre) il suo previo esperimento”.
Molto opportunamente, il Consiglio di Stato esamina poi la questione del diverso livello di riservatezza dei dati che possono essere richiesti.
In questo senso, è lo stesso primo comma dell’art. 24 l. n. 241/90 a presentare una tendenziale esclusione per alcune categorie di documenti, mentre, la norma del comma sesto (anche se la sentenza indica erroneamente il comma secondo) demanda l’esclusione ad un regolamento governativo per determinate categorie di documenti.
In particolare, la sentenza del Consiglio di Stato riporta testualmente il dettato della lett. d) di tale sesto comma (considerato, fra le ipotesi in cui il governo può disporre l’esclusione, la più rilevante “per quanto qui interessa”): “quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”.
Infine, per il Consiglio di Stato, il comma 7 pone un’esclusione “basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango”.
La sentenza richiama pure l’art. 9 del GDPR, secondo il quale per dati sensibili debbono intendersi quelli che rivelino “l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare una persona fisica” o quelli cd. giudiziari (relativi a condanne penali, a reati o misure di sicurezza) e l’art. 60 d.lgs. n. 196/2003 (quest’ultima norma richiamata dallo stesso comma settimo) che individua come supersensibili i “dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”.
Nel caso di specie (che, ricordiamo, riguardava la richiesta, fatta da un coniuge parte in un procedimento di separazione giudiziale, di avere accesso a documenti detenuti dall’agenzia delle entrate e riguardanti l’altro coniuge-controparte nel giudizio) non si trattava certo di dati appartenenti alle suddette categorie.
La questione era dunque quella di attuare il bilanciamento fra diritto di accesso difensivo e tutela della riservatezza “finanziaria ed economica”.
Il comma 7 dell’art. 24 della legge in esame non richiede in tale ipotesi né la sussistenza del requisito della stretta indispensabilità (che si applica solo ai dati sensibili e giudiziari come sopra indicati), né quello dell’indispensabilità e della parità di rango degli interessi (richiesto per i dati cd. supersensibili), ma il più generale criterio della necessità ai fini della cura e della difesa di un proprio interesse giuridico, che il legislatore, secondo la lettura data nella sentenza, riterrebbe “tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo”.
In conclusione, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato afferma, come principio di diritto, che

l’accesso difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile” e che, per i documenti riguardanti dati reddituali, finanziari e patrimoniali, esso “può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., nonché, più ingenerale, dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia”.

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